I miei primi 5 mesi di vita sono trascorsi tranquilli

I miei primi cinque mesi di VITA, protetto dal grembo della mia mamma sono trascorsi tranquilli, i miei genitori felici di dare un fratellino a Ludovica.

E Ludovica era eccitata all’idea di avere un amichetto di solo poco più di un anno più piccolo.

Poi qualcosa è cambiato

Al sesto mese di gestazione, durante una delle tante visite di routine, il ginecologo ha rilevato con l’ecografia una grossa macchia nella mia testa.

Difficile dire se si trattasse di un versamento di sangue, di un meningioma, o di chissà cos’altro.

Per i miei genitori è cominciato un calvario fatto di visite specialistiche, ricoveri in ospedali diversi, parole di conforto di specialisti, medici, professori, infermieri che hanno seguito la mia gestazione, parole di conforto alternate a momenti di disperazione non sapendo cosa fare, e soprattutto a cosa si andava incontro.

Dopo il primo mese di ricovero della mamma il neurochirurgo – il massimo punto di riferimento per i miei genitori fino a quel momento – ha ammesso umilmente i propri limiti sul caso, consigliando loro di andare in altra struttura e mettersi nelle mani del Professore, uno dei massimi esperti a livello mondiale di neurochirurgia infantile.

Un nuovo calvario fatto di attesa del trasferimento, di nuove ipotesi sul mio “caso”, difficile poi guardare nella mia testa attraverso il grembo della mamma con una risonanza magnetica.

Ma io continuavo tranquillo la mia vita ovattata.

Attendevamo il trasferimento al Gemelli

Finalmente il trasferimento al Gemelli, e le nuove teorie che hanno portato alla decisione di farmi nascere prematuro.

L’idea del Professore era di un aneurisma, una sacca di sangue che aveva ormai occupato metà della mia piccola testa.

Il rischio di un’emorragia era elevato, dovevo darmi da fare e respirare da solo al più presto.

Nasco, e non ho il tempo di essere festeggiato come tra le nuvole mi avevano raccontato si usa fare da queste parti.

Non c’erano fiori e confetti, ma tanti medici ed infermieri, macchinari, controlli.

La mia prima operazione a 24 ore di vita

Una prima operazione a 24 ore di vita, bisognava bloccare l’afflusso di sangue nella sacca nella mia testa.

E poi l’Operazione (si con la O maiuscola, lo merita, rispetto alle altre) a soli 4 giorni di vita.

Quella mattina i miei genitori erano stremati, ma sereni.

Il Professore e la sua equipe, molto apertamente, hanno informato i miei che ci sarebbero state due o tre possibilità su cento di sopravvivenza durante e subito dopo l’operazione.

Ed in caso di sopravvivenza, il post-operatorio era tutta un’incognita, su cosa avrei potuto o non potuto fare.

Ci sono sempre i miracoli

In quel momento la mamma ha detto “ci sono sempre i miracoli” ed il Capo anestesista “signora, noi facciamo il massimo che la scienza consente, non facciamo… miracoli”.

Sono stato battezzato pochi minuti prima dell’Operazione.

Mamma e papà piangevano, non riuscivano a recitare bene le preghiere.

L’Operazione è durata 7 ore, mi sembra di aver capito che i miei genitori sono stati in silenzio seduti fuori della porta arancione tutto il tempo.

Secondo me hanno pregato. In silenzio, hanno pregato come forse non hanno mai fatto in vita loro.

Si sono riavvicinati ad una spiritualità perduta, con fiducia nell’Amore, si, quello con la A maiuscola, che veglia su tutti noi.

L’attesa

Dopo 7 ore di attesa, il Professore chiama i miei oltre la porta arancione.

“Ho fatto il massimo, un intervento di lusso, il bambino rispondeva bene. Purtroppo, alla fine, mentre si ricuciva, un inaspettato arresto cardiaco. È stato ripreso subito, ma le condizioni sono drammatiche.”

Rientra, per terminare l’intervento.

Passano 5 minuti.

Si spalanca la porta arancione. Questa volta non chiama i miei, ma cammina verso di loro.

Posso immaginare cos’hanno pensato i miei in quel momento.

Tre mesi di ricovero di mamma, tre mesi di viaggi giornalieri di papà tra Roma e Cassino.

Ed è finita, davanti la porta arancione.

“Questo bambino è un miracolo, è aggrappato alla vita con una forza incredibile”, queste le parole del Professore.

Un miracolo?… l’aveva detto la mamma!

Siamo passati alla porta rossa, quella della Terapia Intensiva Pediatrica (TIP)

Siamo passati alla porta Rossa, quella della TIP, la Terapia Intensiva Pediatrica.

Un mese difficile, ma di recupero lento e costante, con qualche crisi, l’infezione, valori ematici sballati, trasfusioni, piccole operazioni di aggiustamento.

Ma stavo recuperando.

E ora io vedevo i miei genitori.

Potevo stringere con le mie manine le loro dita, sentire le loro parole.

Li sentivo chiacchierare piano, parlavano di un certo Natale, e di come sarebbe stato bello passarlo insieme a casa.

C’erano tanti angeli intorno a me nella TIP, Angeli-Medici, Angeli-Infermieri, Angeli-Volontari ed Angeli-Bambini come me.

Qualcuno purtroppo è volato in cielo, nonostante tutti gli sforzi e l’Amore possibile, Amore difficile da immaginare al di fuori della porta Rossa.

Dopo circa un mese la porta Rossa si è aperta e sono passato al reparto.

Torno a casa!

Poche settimane dopo e finalmente sono andato a casa, casa mia. Casa mia.

E questo Natale, che ho scoperto solo dopo essere il compleanno di un bimbo come me nato qualche anno prima, l’ho vissuto con la mia famiglia.

Inaspettato. Bello. Straordinario.

Io non capivo molto, ma tutti mi sembravano al settimo cielo.

Ed io allora sorridevo, stavo bene.

Mi dovevo chiamare Leonardo…

Sono nato il 4 di Ottobre.

Mi chiamo Leonardo Francesco.

TESTIMONIANZE

Camilla ricoverata a 37 giorni, rischiava di non farcela. Eccola oggi.

Camilla

Alcuni anni fa, Margherita varcava la “porta rossa”. Oggi, è una bambina felice.

Margherita

Leonardo a 24 ore di vita subiva il suo primo intervento. E’ stato un percorso difficile, ma ecco il suo sorriso oggi.

Leonardo

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